Acqua di Colonia

FUno spettacolo sul colonialismo italiano. Il colonialismo italiano. Una storia rimossa e negata, che dura 60 anni, inizia già nell’Ottocento, ma che nell’immaginario comune si riduce ai 5 anni dell’Impero Fascista. Cose sporche sotto il tappetino, tanto erano altri tempi, non eravamo noi, chi se ne importa. È acqua passata, acqua di colonia, cosa c’entra col presente? Eppure ci è rimasta addosso come carta moschicida, in frasi fatte, luoghi comuni, nel nostro stesso sguardo. Vista dall’Italia, l’Africa è tutta uguale, astratta e misteriosa come la immaginavano nell’Ottocento; Somalia, Libia, Eritrea, Etiopia sono nomi, non paesi reali, e comunque “noi” con “loro” non c’entriamo niente; gli africani stessi sono tutti uguali.
E i profughi, i migranti che oggi ci troviamo intorno, sull’autobus, per strada, anche loro sono astratti, immagini, corpi, identità la cui esistenza è irreale: non riusciamo a giustificarli nel nostro presente. Come un vecchio incubo che ritorna, incomprensibile, che ci piomba addosso come un macigno.

CREDITS

Uno spettacolo di Frosini / Timpano
Testo, regia, interpretazione  Elvira Frosini e Daniele Timpano
Consulenza  Igiaba Scego
Voce del bambino Unicef  Sandro Lombardi
Aiuto regia e drammaturgia  Francesca Blancato
Scene e costumi  Alessandra Muschella e Daniela De Blasio
Disegno luci Omar Scala
Progetto Grafico  Valentina Pastorino
Produzione Gli Scarti – Kataklisma
Con il sostegno di Armunia Festival Inequilibrio

MEDIA

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PROSSIME DATE

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CIRCUITAZIONE

28 FEBBRAIO 2018 TEATRO ROSSI – PISA
3 GIUGNO 2018 TEATRO ROSSI – MILANO
12 LUGLIO 2018 FABBRICA EUROPA – FIRENZE
21 LUGLIO 2018 TEATRO ROSSI – PISA
3 GIUGNO 2018 TEATRO ROSSI – MILANO
12 LUGLIO 2018 FABBRICA EUROPA – FIRENZE
28 FEBBRAIO 2018 TEATRO ROSSI – PISA
3 GIUGNO 2018 TEATRO ROSSI – MILANO
12 LUGLIO 2018 FABBRICA EUROPA – FIRENZE
21 LUGLIO 2018 TEATRO ROSSI – PISA
3 GIUGNO 2018 TEATRO ROSSI – MILANO
12 LUGLIO 2018 FABBRICA EUROPA – FIRENZE

PRESS

“Con il loro nuovo spettacolo Elvira Frosini e Daniele Timpano tornano alla propria vocazione originaria, quella di provocatori delle coscienze, di indagatori delle macchie inconfessabili che si annidano nelle pieghe della nostra cultura progressista e democratica. […] ci parlano dell’indifferenza e del malinteso senso di superiorità con cui ancora guardiamo alle popolazioni africane che ogni giorno arrivano da noi in cerca di riscatto. Il vero sale dello spettacolo sta nella franchezza con cui i due autori-attori non temono di scavare nelle piccole intolleranze quotidiane di fronte a un venditore di fiori extra-comunitario, riesumano i versi di un trucido motivetto («Odio il Kebab / e il Ramadan») che girava nel 2014 su Internet, giocano sul tabù di Faccetta nera, che tutti conoscono, ma che – sul loro invito – nessuno osa cantare, per non assecondare il proto-fascista che si cela potenzialmente in ciascuno di noi.
La Frosini e Timpano, intelligenti, caustici, velenosi, sono bravissimi a destreggiarsi fra fumetti d’epoca, canzoni, regi decreti, discorsi pubblici di allora e di oggi: lascia il segno, ad esempio, la loro citazione dell’efferato Topolino in Abissinia («ho promesso alla mia mamma di mandarle una pelle di un moro per farsi un paio di scarpe»), poi ripreso nel finale, in cui appaiono con le orecchie da topo e le maschere antigas. Dopo la scomparsa di Paolo Poli, i due attori romani – se l’accostamento non sembra irriguardoso – sembrano gli unici in grado di attingere a un certo variopinto bric a brac che svaria dai motivetti di Rodolfo De Angelis all’accorata melassa di Addio sogni di gloria (struggente, però, nell’esecuzione finale di Giuseppe Di Stefano). […]Lei è irresistibile nei panni di un Pasolini sprezzante e pieno di sé, santo patrono di «radical chic, hipster, intellettualini piccolo borghesi» che non lo hanno mai letto e lo citano a sproposito. Lui tratteggia impietosamente un Indro Montanelli che parla della sua militanza africana come di una lunga vacanza, vantando le grazie della moglie dodicenne, un «animalino docile» comprato «assieme a un cavallo e a un fucile, tutto a 500 lire». Ma ce n’è anche per Benedetto Croce ( «zoologicamente e non storicamente sono uomini»), per Kant, per Hegel, per Rousseau.”

Renato Palazzi, Delteatro

“Il pubblico collassa in un cortocircuito di risate e sensi di colpa. L’intero spettacolo è una trappola feroce preparata ad arte da Frosini e Timpano: siamo sul palco, siamo due di voi, bianchi occidentali insicuri, persone per bene, due artisti; siamo come voi, ci stiamo interrogando sulla storia di questa bella Italia fascista, che ricordi; siamo aperti progressisti e comprensivi, siamo voi; ci scappa qualche battuta sul negretto col ritmo nel sangue, a chi non è mai scappata, un po’ di insofferenza per il bangla che ci vende le rose mentre facciamo l’aperitivo; imitiamo Mammy di Via col vento, zignora zignora; ridiamo per l’angelo negro di Ugo Tognazzi, zignore zignore; ridiamo per Faccetta nera ridiamo per Topolino in Abissinia, ridiamo: ma che fate ridete?[…] È un falò che i due autori allestiscono sul palco per due ore e in cui bruciano la vanità miserabile degli italiani brava gente.”

 

Giuseppe Rizzo – Internazionale

“Un teatro del colonialismo che alza una Babele di segni e di immaginari, ammassando pagine di guide dell’Africa Orientale italiana e vecchie gag da avanspettacolo, Topolino in Abissinia e Addio sogni di gloria, cliché di un passato colpevole e luoghi comuni di un nuovo, giubilante razzismo che dal senso di colpa si sente liberato, il lirismo, l’erotismo, il moralismo. La alza, poi la cosparge di benzina e le dà fuoco in un rogo purificatore i cui fumi esilaranti sembrano una risposta ai gas venefici e genocidi con cui il Maresciallo Graziani seminò l’altipiano etiopico. […] Un’implacabile liturgia comica, più simile a un Tribunale che a una messa – un caotico, eppure ideologicamente preciso, Tribunale Dada nell’anno del centenario – l’ha passata al vaglio di intere ere della negazione dell’altro miniaturizzate in un carnevale di neanche due ore. E adesso, suona come un’interferenza nella dialettica tra servo e padrone che, dopo il colonialismo e il neo-colonialismo, continua ad alimentare anche la macchina inclusiva della carità spettacolo. […] Uno spettacolo che sfata l’idea ancora piuttosto diffusa e tranquillizzante che il tardivo e rimosso colonialismo italiano si identifichi con l’impero fascista: più che una ricostruzione sia pure frammentaria dei misfatti del colonialismo italiano, Acqua di Colonia è una decostruzione sui generis dei miti e degli idioletti, alti o bassi che siano, della mentalità coloniale.”

Attilio Scarpellini – Doppiozero

“Il rischio di essere fraintesi, di passare perfino per razzisti valeva veramente la pena correrlo, così da sconcertare fino in fondo, davvero, questo perbenismo bigotto ormai dilagante che produce politicamente poi gli abomini che produce. Perché c’è un grande bisogno di sentire qualcuno che torni a dire qualcosa di scomodo, di uno scomodo non rassicurante, di uno scomodo fraintendibile. […]
Una delle scritture più intelligenti di questi ultimi anni. Capolavoro sì, perché — a volte non è male rinunciare all’entusiasmo e dire le parole per quel che signifcano — è elaborazione matura e summa del lungo percorso dei due artisti romani.

Giulio Sonno – Paperstreet

Con la vena graffiante e sorniona che contraddistingue la loro drammaturgia, il duo decide di far saltare a uno a uno gli stereotipi che ci incastrano nella lettura dell’altro, un vizio radicato e disciplinato sul finire dell’Ottocento, oggi quanto mai manifesto. La partita in gioco è dunque attualissima: comprendere la xenofobia dilagante del presente attraverso la demistificazione di luoghi comuni annidati nel racconto della Storia. Una sfida pericolosa proprio perché inerpicata in una problematica troppo calda e vicina, ma che Frosini/Timpano riesce a vincere senza scadere nel paternalismo bacchettone o nel lirismo politically correct annusato di recente in altre prove di variazione sullo stesso tema.

Dalila D’Amico – Scene Contemporanee

Acqua di colonia è un cabaret grottesco, sarcastico, tragicamente divertente, implacabile, che utilizza una grande varietà di materiali, letterari e di costume: la canzone, il cinema, giornali e fumetti, pubblicità, guide turistiche, memoriali, la sterminata produzione narrativa e di propaganda, la produzione dell’immaginario insomma (a livello di immagine, parole, musica). Tutti “filtri” estremamente fertili, in cui prende forma la memoria collettiva, e che consentono di mescolare alto e basso, contaminando, dissacrando, secondo il metodo e lo stile inconfondibile degli spettacoli di Elvira Frosini e Daniele Timpano. Renato Palazzi l’ha accostato a certe operazioni di Paolo Poli, e il confronto convince: meno eleganza certo, altrettanta provocazione, maggiore cattiveria. Elvira Frosini e Daniele Timpano non sono una coppia scenica solo per l’affiatamento, i ritmi, la duttilità che li rendono quasi intercambiabili (se non per il dettaglio – in fondo irrilevante – di genere), la complementarietà degli interessi e della ricerca (dall’intervista si direbbe più attento alla storia lui, più ad aspetti sociologici e di costume lei), e per il linguaggio comune che hanno trovato, ma per la “coerenza fisica” rispetto ai contenuti dei loro spettacoli: fisicamente così esili, un po’ alla Woody Allen, sono quanto di più antieroico e antiretorico si possa immaginare.

 

Mimma Gallina – Ateatro

 “Il rapporto degli italiani con i migranti, indagato nel nostro torbido passato colonialista, diventa un rimosso capace di far riverberare le contraddizioni di oggi: l’intento è quello di mettere in crisi chi guarda mostrandogli la sua percezione stereotipata della realtà. Emblematica allora la presenza in scena, nella prima parte, di una “prima spettatrice” di colore che assiste muta alla rappresentazione: il suo sguardo diventa dimostrazione concreta dei pregiudizi che proiettiamo sull’altro e nonostante l’altro. Quel silenzio offre un significativo controcanto all’ironia corrosiva e debordante di Frosini / Timpano: è l’unico commento possibile alla nostra pronta lista di giustificazioni auto-assolutorie.”

 

Francesca Serrazanetti, Hystrio

 “Com’è nello stile del surreale duo di attori-autori, lo spettacolo ha un tono argutamente provocatorio: uno specchio che, deformando, riflette quanto mai la verità. Mettendo in scena l’allestimento possibile di uno spettacolo futuro (che è la seconda parte di Acqua di Colonia), Frosini/Timpano sognano, vaneggiano, fanno invettive, requisitorie, strambi dialoghi entrando e uscendo da mille personaggi e rimanendo sempre loro stessi.

 

Andrea Pocheddu, Gli Stati Generali
CONTATTI

Andrea Maltagliati

+39 338 6524336

andrea.maltagliati@gmail.com

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