Freier Klang

Il respiro è musica? Se il mio lamento è musica, quanto è grande l’orchestra?
D. Quanto è grande l’orchestra dei lamenti ? F.K.“Non possiamo definirne una grandezza perché i corpi di pochi non possono sostenere le ferite di molti.” Ho incontrato i FREIER KLANG (suoni liberi) nel self service di una stazione di servizio al confine tra Germania e Polonia. Quando sono entrata il Freier Rapido incalzava il Freier in Differita che non riusciva a risolversi fra un purea e delle patate lesse mentre il Freier Perfect Pitch taceva immobile davanti al cassetto delle posate. Fu in quell’unico incontro che mi raccontarono l’esperienza nella camera anecoica (Minnesota Orfield Laboratories). F.K.“ Avevo in tasca un posacenere di marmo e l’ho messo al centro della camera anecoica, il posacenere ha cominciato a cantare fra i bassi e gli acuti dei nostri corpi”. Come diceva John Cage, nel silenzio di una camera anecoica puoi sentire il suono acuto del sistema nervoso e il basso del sangue in circolo. F.K. “Il prodotto si è trasformato in processo, il posacenere”. Il Freier in Differita era silente, gli occhi chiusi, emetteva dei suoni che ora mi parevano gemiti e ora accenni di riso. Sarà lui che salutandomi alla frontiera, mi sussurrerà in un orecchio : Il silenzio non c’è. F.K. “Quest’esperienza ci ha cambiati, irrimediabilmente, definitivamente.”
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CREDITS

drammaturgia Rita Frongia
con Gianluca Stetur, Francesco Pennacchia, Sergio Licatalosi
regia di Claudio Morganti
Produzione Gli Scarti

MEDIA

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PROSSIME DATE

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CIRCUITAZIONE

28 FEBBRAIO 2018 TEATRO ROSSI – PISA
3 GIUGNO 2018 TEATRO ROSSI – MILANO
12 LUGLIO 2018 FABBRICA EUROPA – FIRENZE
21 LUGLIO 2018 TEATRO ROSSI – PISA
3 GIUGNO 2018 TEATRO ROSSI – MILANO
12 LUGLIO 2018 FABBRICA EUROPA – FIRENZE
28 FEBBRAIO 2018 TEATRO ROSSI – PISA
3 GIUGNO 2018 TEATRO ROSSI – MILANO
12 LUGLIO 2018 FABBRICA EUROPA – FIRENZE
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3 GIUGNO 2018 TEATRO ROSSI – MILANO
12 LUGLIO 2018 FABBRICA EUROPA – FIRENZE

PRESS

“Nel Konzert dei Freier Klang (Franz, Sergius e Stetur), sceneggiato da Rita Frongia e invisibilmente diretto da Claudio Morganti, l’infanzia è un vento che finalmente soffia dove vuole trasformando in musica aleatoria tutto quello che ispira ed espira, che sbatte o che tocca, ma anche che striscia – come le cerniere dei trolley con cui si presentano i concertisti – sfiora, fischia, ammicca: il touch di uno smarphone collegato a un theremin (strumento di note origini leniniste, qui in versione gadget made in japan), una radiolina da collo con microfono, un fischietto per il richiamo degli uccelli infilato in bocca, e insomma una dotazione magica destinata a liberare suoni (poiché i Freier sono i “liberatori del suono” Die Befreier des Klang) la cui comicità suprema consiste anzitutto nello sfuggire completamente allo sguardo del pubblico che, catturato dalla sua stravaganza, non riesce a identificarla come origine della musica. Per svariati motivi.
Freier Klang è l’avanguardia che si specchia nel suo rovescio e sposa il suo fantasma più ricorrente (il fallimento) rendendo umoristica la propria ironia: un capolavoro inavvertito che ride di se stesso con quella rara, contagiosa esplosione di buon umore che, dice Milan Kundera ne La festa dell’insignificanza, ha qualcosa di infinito. ”

Attilio Scarpellini – Doppiozero

Come in un dialogo socratico, nell’accostarsi al lavoro di Claudio Morganti la prima cosa da fare è capire che cosa si intenda con i termini che sono utilizzati. Il confronto con il suo teatro e le sue ricerche, il dibattito che ne scaturisce, portano a prestare attenzione ai presupposti della discussione, ossia al problema delle definizioni e, quindi, soprattutto alle aspettative con cui si entra in sala.
Il teatro è un modo di lavorare col tempo, lo fa l’attore al posto dello spettatore, che delega a lui una specie di missione. Il teatro ha a che fare (e deve avere a che fare) con la poesia e l’arte. Tutto questo si evince leggendo le sue riflessioni. Ma in cosa consiste quest’arte, viene da chiedersi. Si potrebbe provare a rispondere che consiste nel tessere il tempo, piegarlo, intrecciarlo, tenderne i fili, giocare con il suo ritmo.
Utili sono i riferimenti di Morganti a quel tipo di jazz che è fondamentalmente improvvisazione, un suonare sul momento, che non è pensato per ritornare, per ripetersi. Così come il musicista studia, ma deve poi liberarsi del suo strumento, intendendo con questo tutto lo studio precedente e il condizionamento che comporta (Morganti cita un noto jazzista a tal proposito) per inseguire la musica nell’attimo, mentre suona dal vivo; così anche per l’attore (aldilà della preparazione e dello studio), durante l’incontro col pubblico, c’è solo materia e gioco con la propria materia, per scolpire l’accadere.
Talvolta le sue opere sono state accusate di autoreferenzialità. Ma con Morganti il teatro non parla di sé. Il teatro accade, avviene davanti gli occhi di chi guarda. Si tratta di un fare, di un accadere. Un vivere. Ovviamente, assumendo la definizione morgantiana di teatro (se non la si accetta, se si intende al contrario il teatro come narrazione o spettacolo, perché discuterne ancora?).
Questo teatro ha aspetti fondamentalmente esperienziali. Nei due significati del vivere un’esperienza: dell’affidarsi agli attori con fiducia (e si tratta, in ogni caso, di un’esperienza difficile in partenza), ma anche del riuscire a sentire, riconoscere, richiamare qualcosa da dentro che si è in qualche modo già sperimentato nella vita. Tutto ciò non si può spiegare, si sente quando accade.
Ma allora, a chi non lo capisce o concepisce, come spiegarlo?
Freier Klang è un concerto (e che concerto, viene da dire). Anche semplicemente da un punto di vista strettamente musicale si rimane affascinati dall’opera. Eppure non si tratta solo di questo. Non è soltanto musica, piuttosto è musica per lo strumento “attore” che suona il corpo, i gesti, la voce, le parole – cui si aggiunge anche l’improvvisazione di veri e propri brani musicali.
Nel complesso, il lavoro si suddivide in due momenti: dopo aver suonato alcuni pezzi, i tre musicisti salutano il pubblico, chiudono il concerto propriamente musicale, e passano a una sorta di bis, un concerto di parole. Se all’inizio si rimane un poco fuorviati dall’uso della parola al posto dei suoni (perdendosi un po’ alla ricerca di un significato o di un filo discorsivo nascosto), a breve si smette di cercare un senso e ci si abbandona. Come lo svolgersi di un’opera lirica in bilico fra recitativi e arie, i suoni/parole alternano momenti di “canto” più disteso ad altri più recitati.
I due momenti, concerto e bis, sono un’esplorazione, un abitare zone sospese, degne della più seria arte dell’attore (sempre secondo il dizionario di Morganti). L’arte di piegare il proprio corpo, senza ego. L’arte di essere al servizio. Della musica, della materia, del ritmo, del tempo.
Tuttavia, tornando alle riflessioni precedenti: chi non sa, può riuscire ad apprezzare un lavoro come questo? Probabilmente sì. Nella sua apparente assurdità, Freier Klang resta tranquillamente godibile: i tre performer (Pennacchia, Stetur e Licatalosi) sono paradossali, comici e divertenti. Accessibili – si potrebbe dire. Qualcuno, a proposito, ha parlato di ironia. Francamente, di ironico non abbiamo visto molto. Abbiamo visto piuttosto suonare: il respiro, le parole, gli oggetti. Tessere il ritmo: sentirlo tendersi e allentarsi.
Anziché di ironia si potrebbe parlare di autoironia. Non quella che serve a prendere le distanze da sé e a ridere di sé, bensì quella che erge un muro fra sé e gli altri, per separare la serietà del proprio lavoro dall’osservatore. Quell’autoironia che mette uno schermo, una protezione rispetto a chi non vuol capire, per blandirlo, coccolarlo, illuderlo. In definitiva, liberarsi di lui.

Mailé Orsi – Perinsala
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